Verona in Comune e la sfida della Partecipazione


verona-italy-guide.jpgLa città di Verona vive da anni un grave deficit democratico. Alla cittadinanza non è mai stata data voce in questi 10 anni di amministrazione tosiana, che ha ridotto i cittadini a semplici spettatori di un teatrino politico fatto di bufere giudiziarie, svendita del patrimonio pubblico, malagestione delle aziende partecipate e provvedimenti che, più che al bene comune, miravano all’arricchimento di gruppi di potere legati alla maggioranza.

Con il pretesto di essere stata eletta a grande maggioranza, l’amministrazione non si è mai sentita in dovere di interpellare la cittadinanza nemmeno di fronte a decisioni fondamentali per la vita della città – anche quando queste riguardavano questioni non contemplate nel programma amministrativo sottoposto agli elettori e alle elettrici al momento del voto.

L’amministrazione non si è limitata a non ascoltare le voci dei cittadini, ha anche evitato accuratamente di mettere nelle loro mani quegli strumenti di partecipazione popolare che consentono alla cittadinanza attiva – comitati, movimenti e singoli cittadini che non si sentono rappresentati – di sottoporre al consiglio comunale delle questioni sulle quali i consiglieri dovranno necessariamente esprimersi. Non è un caso se Verona è forse l’unica città a non contemplare nel proprio statuto la “delibera di iniziativa popolare” e a limitarsi alla semplice petizione che non è in alcun modo vincolante per consiglio, giunta e sindaco.

La città è stata ridotta a passiva spettatrice della propria vita e si è in larga parte rassegnata, disabituata a partecipare, a riunirsi, a discutere e ad animare luoghi e strumenti di progettazione collettiva. È certamente vero che questo non è un problema solo veronese. Tutto il Paese, come è tristemente noto, vive da anni un allontanamento della cittadinanza dalla politica. La tendenza è sempre più quella di chiudersi in sé stessi, occuparsi del proprio particolare, dei propri interessi e tralasciare la sfera pubblica, come se quella non facesse parte della nostra vita, come se non influenzasse intimamente ogni singolo aspetto delle nostre vite.

Chiunque voglia occuparsi oggi di politica, ha il dovere di ricucire lo strappo tra cittadinanza e Istituzioni, incentivando la partecipazione, mettendo a disposizione dei cittadini quegli strumenti che consentano loro di “tornare a contare”, di essere cittadinanza attiva. In questo senso, l’azione a livello locale è fondamentale, perché a livello locale la distanza tra persone e Istituzioni è minore, perché l’azione amministrativa tocca questioni che chiunque, anche chi non è abituato a “fare politica”, può vedere tutti i giorni con i suoi occhi.

La partecipazione deve quindi essere tra le priorità di chi si candida alla guida di una città. Fornire strumenti efficaci e facilmente praticabili è il primo passo. In questo senso, ci sono esempi virtuosi che dimostrano che la democrazia diretta non è un’utopia e non toglie nulla alla democrazia rappresentativa e all’azione di una amministrazione democraticamente eletta. Lo Statuto del comune di Milano prevede, per esempio, la possibilità per i cittadini di promuovere referendum propositivi e abrogativi vincolanti su materie di competenza comunale e, proprio per non scoraggiare l’utilizzo dello strumento, prevede la possibilità di raccogliere le sottoscrizioni anche in via telematica su apposito portale creato del comune. Il comune potrebbe inoltre conferire la facoltà di autenticare le firme per tutti gli strumenti di partecipazione popolare comunali ai promotori delle iniziative, liberandoli dal vincolo della presenza al tavolo di raccolta firme di un consigliere comunale o di un costoso notaio.

Altro esempio virtuoso da seguire è quello della città di Padova e della sua consulta degli stranieri che – istituita nel 2011 e stupidamente cancellata dal sindaco leghista Bitonci nel 2016 – è stato uno strumento che ha dato la possibilità di partecipare alla vita politica della città anche ai residenti non italiani. Mancando una legge nazionale che sancisca il diritto all’elettorato attivo e passivo a livello amministrativo a chiunque sia residente, la consulta degli stranieri rappresenta un tentativo di integrazione attraverso la partecipazione, forse l’unico sensato, perché iscritto all’interno dei principi democratici che stanno alla base della nostra società.

Assicurare ai veronesi questi istituti di partecipazione e sanare il deficit democratico della città deve essere uno degli obiettivi della prossima amministrazione. Purtroppo non si può immaginare che tutti i candidati in corsa abbiano le carte in regola per farsi carico di un compito tanto semplice quanto fondamentale – del resto la partecipazione è una spina nel fianco per chi non ha come obiettivo il benessere del popolo. Quale sia la considerazione che ha della partecipazione popolare Flavio Tosi e il centrodestra veronese lo abbiamo visto in questi anni; al tempo stesso la questione non sembra essere una priorità per il Partito Democratico, che con la riforma costituzionale fortunatamente bocciata pochi mesi fa, avrebbe aumentato il numero di firme necessarie per presentare leggi di iniziativa popolare e referendum, senza affrontare la questione dell’autenticazione delle sottoscrizioni, che è il vero e più forte ostacolo alla praticabilità degli istituti di partecipazione. Nemmeno il Movimento 5 Stelle sembra essere un campione di democrazia, quanto accaduto di recente a Genova – l’invalidamento della votazione con la quale era stata designata la candidata sindaco – è solo una ulteriore dimostrazione della gestione privatistica e padronale del Movimento.

In controtendenza, ci sono le aggregazioni civiche e politiche e le persone che, con Michele Bertucco, sulla scia delle recenti esperienze italiane ed europee, stanno lavorando ad una progettazione collettiva della comunità. Queste realtà hanno compreso perfettamente quale sia la strada da intraprendere e hanno messo da subito l’ascolto al centro della loro attività, iniziando il percorso che le condurrà all’appuntamento elettorale incontrando le cittadine e i cittadini nei quartieri, costruendo passo dopo passo il programma amministrativo ascoltando le istanze, i bisogni e le necessità delle diverse anime della città.

Nonostante le difficoltà che una strada come questa implica in una realtà fortemente disabituata alla partecipazione, scegliere di percorrerla significa lanciare una sfida importante per rivitalizzare la democrazia. Invitare le persone a tornare ad occuparsi di politica, significa gettare le basi per la costruzione di un modello di comunità altro rispetto all’attuale, che mira ad atomizzare la società per consentire ai gruppi di potere di agire indisturbati. È questa una delle sfide più importanti dei nostri tempi. La buona gestione della cosa comune dipende in larga parte da quanto le cittadine e i cittadini torneranno ad essere protagonisti della vita politica ad ogni livello – da quello locale a quello europeo.

Se Michele Bertucco e la sua squadra decideranno di farsi carico di queste istanze, il loro programma ne uscirà arricchito e la cittadinanza avrà la possibilità di dare fiducia a chi si impegna a liberare tutte le voci della città.

Mattia Da Re

2 risposte a “Verona in Comune e la sfida della Partecipazione

  1. Ciao Mattia,
    mi fa piacere che il bisogno di maggiore partecipazione dei cittadini non sia sentito solo da me.

    Ti segnalo solo due cose: Verona ha approvato il regolamento per la gestione dei beni comuni recentemente, perciò quello è un passo avanti (proposto però dai M5S).

    Inoltre, io personalmente vedo la partecipazione anche nei comitati e nelle associazioni che operano sul territorio: se l’amministrazione non ascolta, quello è il modo per entrare nel dibattito politico e per agire. Credo che in una città come Verona questo sia il modo più efficace per influenzare una politica poco sensibile (Bertucco a parte): perciò piuttosto che chiedere ulteriori regolamenti o opportunità istituzionali, io punterei ad organizzare comunità e realtà sul territorio per porsi in dialogo ed ottenere la città che vogliamo con le nostre forze. In fondo piccoli gruppi, se organizzati, hanno la forza di fare grandi cose.

    • Hai ragione, ma diciamo che avere strumenti istituzionali praticabili, è un incentivo alla partecipazione. Perché negare uno strumento di partecipazione? Mettere questi strumenti di partecipazione nelle mani dei cittadini, non è in contraddizione con quanto tu auspichi, ovvero con l’organizzare realtà di cittadinanza attiva sul territorio.

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